Nella classe siamo tantissimi, oltre venti. Sedie scomode e piccole, in cui ognuno cerca di incastrarsi come può. Io sono nella seconda fila, di fronte alla lavagna e alla cattedra. Il nostro insegnante ha poco più di 30 anni, viene dalla Florida e vorrebbe andarsene da NYC. Troppi topi, troppo cara, troppo freddo. Qua ci vive da 5 anni e ormai è chiaro che ha esaurito le feste che poteva fare. Ha due piercing notevoli alle orecchie ma assicura nessun tatuaggio. Parla con entusiasmo di Amsterdam e la reputa la sua città ideale. Quando deve scrivere le parole alla lavagna usa il dizionario sull'iphone perchè dice che non ricorda bene la grammatica scritta, però a spiegare è molto bravo e ho iniziato a parlare nel futuro prossimo e la cosa mi dà molte soddisfazioni.
Hamin è afgano e fa l'università, studia da ingegnere e quando finirà la scuola vuole tornare al suo paese che è Kabul. L'America gli piace ma vorrebbe tornare a casa sua. Per pagarsi la scuola lavora in una grande magazzino dove fa stoccaggio di bibite. E' lui che mha fatto smettere di bere il the Snapple. Ne bevevo a quantità industriale, ovviamente alla pesca, il più dolce. Un giorno m'ha spiegato che la sua scarpa è rimasta incollata al pavimento dove era caduta una cassa di Snapple. Da allora ho smesso. Ora solo Ginger Ale.
Lui frequenta il corso d'inglese per avere la visa. Sono in molti qua che frequentano la scuola d'inglese per avere la visa. Devi fare 20 ore alla settimana e avere una frequenza del 75% e ottieni un visto come studente. C'è gente che va avanti così da 5 anni. Non scherzo, 5 anni. Alla scuola non interessa, basta che paghi il corso regolarmente.
Luca è di Milano, frequenta la scuola da 3 anni e mezzo. Mi racconta che non ne può più, parla un'inglese ottimo ma deve venire sempre al corso altrimenti non gli danno il visto. Lavora come grafico per una ditta che fa siti internet, di tornare in Italia non ci pensa neanche e preferisce farsi la scuola. Ha 34 anni e dice che vorrebbe sposarsi un'ameriana, sarebbe la svolta e risparmierebbe anche questa spesa inutile.
Mi racconta che una volta era più facile. Ti iscrivevi a questa scuola e ti presentavi giusto la prima settimana. Poi potevi sparire. Non ti cercava nessuno, bastava che pagavi regolarmente le rate del corso.
Ed è esattamente quello che hanno fatto due degli attentatori dell'11 settembre. Si sono iscritti, hanno preso la visa studenti ma invece di studiare l'inglese sono andati a fare un corso di volo. Dopo l'attentato, quando si è saputo che tipo di visto avevano, la scuola ha rischiato seriamente di chiudere. Da allora la fabbrica di visti facili è finita. Adesso devi frequentare la scuola almeno per 3/4, altrimenti sei subito segnalato all'ufficio immigrazione.
E' quello che fa anche Oki, coreana. Ha 50 anni ed è sposata con un brasiliano. Frequenta la scuola da 4 anni. La cosa che mi tranquillizza è che il suo inglese non è molto meglio del mio, quindi non devo abbattermi. E' molto simpatica Oki, ha un negozio con il marito nel Queens, ma non riesce ancora a ottenere la visa perciò, sorridendo, mi dice che è una studentessa quasi a tempo pieno. Quasi a tempo pieno, perchè quando non è a scuola è nel negozio di frutta. Lavora tantissimo e si sveglia praticamente all'alba, ma è sempre puntuale in classe. Deve essere puntuale, se arriva in ritardo rischia di essere segnalata assente. Mi dice che parla inglese solo in questa classe, perchè la frutta la compra dai coreani, al mercato ci vanno coreani. L'inglese non le servirebbe molto per vivere nel Queens, parla benissimo il portoghese e anche lo spagnolo. Però si deve fare per la visa. E mi offre un'arancia.
Poi c'è il gruppo delle russe, che è il più numeroso. Quasi tutte cameriere e con una pronuncia perfetta. Per la Visa studenti ci sono anche i giapponesi.
Kanako arriva da Tokyo, è a NY da un anno. Ha lasciato il suo lavoro e la sua casa ed è venuta qua a spendere tutti i soldi che aveva messo da parte. Risparmi tirati assieme in tre anni di lavoro ininterrotto e faticosissimo, mi dice. Adesso pensa di tornare in Giappone giusto per la primavera dei ciliegi il prossimo marzo, guadagnare ancora un pò di soldi e poi tornare di nuovo a NYC. Non ci pensa più a lavorare tantissimo e initerrotamente. A NY ha iniziato a fare biscotti e vorrebbe aprire il suo business vendendoli nei caffè. Non ha nessun permesso, ma le basta fare la scuola e la sera cucinare biscotti. Giappone addio, mi dice.
Il nostro insegnante ci chiede qualcosa per fare pratica di conversazione. Ci chiede di ricordare un momento che ci ha sorpreso nella vita.
Ana, una ragazza dell'Ucraina, racconta di quando è arrivata per la prima volta a NYC a 14 anni ed ha visto un ragazzo di colore. Non ne aveva mai visti di persona, e si è sorpresa perchè parlava molto bene l'inglese.
Felipe, colombiano, si è sorpreso quando ha scoperto che la sua ragazza con cui stava da un anno in realtà non era vergine come gli aveva raccontato.
Hamin racconta di quando ha trovato una bomba non esplosa nella sua stanza. Lo dice come se fosse la cosa più normale del mondo. Una ragazza del Costa Rica gli chiede se l'Afghanistan è più pericoloso del Messico.
Sono le sei e ha iniziato a nevicare. Questa dovrebbe essere la seconda bufera di neve sulla città. Ho imparato che si chiama snow blizzard. Paralizza tutte le strade in poche ore, l'ultima volta sono stati 60 cm di neve in una notte.
Decido di non prendere subito la metro ma di farmi qualche isolato a piedi. La neve arriva in faccia ed è fresca, le macchine rallentano e il traffico quasi si spegne. New York è silenziosa come poche volte l'ho sentita, e i miei passi lasciano già le prime impronte sulla strada.
N.BLVD
7|01|2011
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